L’universalità delle rovine, da Oriente a Occidente

Giovedì 20 giugno 2024, ore 15:00 – Aula dei consigli DISPAC – Piattaforma Teams

 

Alain Schnapp, professore emerito dell’Università di Parigi I (Panthéon-Sorbonne)

 

Saluti istituzionali:

Luca Cerchiai, Direttore DISPAC

Valérie Huet (Direttrice del Centre J. Bérard – Napoli)

Stefania Zuliani, Coordinatrice del Dottorato MeM

Fausto Longo, Direttore Scuola di Specializzazione Orsa

 

Introducono

Luca Cerchiai

Valérie Huet (Direttrice del Centre J. Bérard – Napoli)

 

1 CFU

Alain Schnapp è archeologo e storico. Professore emerito all’Université Paris I (Panthéon- Sorbonne), ha fondato nel 2001 l’Institut National d’Histoire de l’Art (Inha).

La sua formazione scientifica e intellettuale è stata segnata dai rapporti con il gruppo di antichisti attivi attorno alla figura di Jean-Pierre Vernant.

Alain Schnapp ha dedicato i suoi studi all’iconografia greca, alla teoria e alla storia dell’archeologia, alla ricerca archeologica finalizzata alla ricostruzione storica dei territori e, in quest’ultima prospettiva, ha svolto importanti scavi in Italia meridionale in relazione ai diversi aspetti della colonizzazione greca e ai relativi rapporti con il mondo indigeno: Metaponto, Eboli, Moio della Civitella, Laos.

I suoi rapporti con l’Italia sono sempre stati e continuano ad essere molto intensi, a partire dalle ricerche e prospettive politico-culturali condivise con colleghe e colleghi dell’Università degli Studi di Napoli L’Orientale e dell’Università di Salerno.

Il volume che viene presentato – dedicato a Jean-Pierre Vernant (1914-2007) – è la traduzione italiana di una monumentale “Storia universale delle rovine” dal mondo antico all’età dell’Illuminismo e da Oriente a Occidente. Si tratta di una visione del tutto originale attraverso cui Alain Schnapp indaga e ricostruisce aspetti importanti e inediti delle “strategie della memoria collettiva”.

Eventi passati

Sistemi territoriali e monumenti funebri in Irpinia e nel Sannio

Martedì 28 maggio 2024 ore 14.40 – Aula dei Consigli DISPAC (I piano, edificio B)

 

Ne discutono Simone Foresta – Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di Benevento e Caserta 

Lorenzo Arbezzano e Laura De Girolamo (dottorandi del XXXVIII ciclo)

Coordinano Mauro Menichetti e Alfonso Santoriello 

1 CFU

Gli interventi di tutela archeologica condotti a Benevento negli ultimi anni, sotto la direzione scientifica della Soprintendenza, hanno permesso di recuperare significativi dati sulle fasi e le dinamiche d’occupazione della principale città sannita e del territorio limitrofo. 

Durante le recenti indagini archeologiche, inoltre, nuovi dati sono emersi in riferimento al tracciato della via Appia dall’età romana fino a quella medievale in due settori ai margini del centro di età romana: l’ampia zona gravitante attorno a Ponte Leproso, punto in cui la regina viarum entrava in città, e l’area nelle immediate vicinanze della statio di Nuceriola, nel Comune di San Nicola Manfredi. 

La relazione vuole offrire, attraverso la lettura di dati archeologici tipologicamente differenti, spunti di riflessioni per considerare e ricostruire il rapporto tra città, vie di comunicazione e monumenti pubblici e privati.

Simone Foresta: laureato in Archeologia e Storia dell’arte greca e romana all’Università Federico II di Napoli, dopo un periodo di studio a Berlino, si è specializzato in Archeologia Classica presso l’Università degli Studi di Salerno; dopo aver conseguito a Napoli il Dottorato di Ricerca in archeologia romana, si è perfezionato presso la Scuola Archeologica Italiana di Atene. Docente a contratto di archeologia classica all’Università “Federico II” di Napoli e Università degli studi di Cassino e del Lazio Meridionale, dal 2017 è funzionario archeologo del Ministero della Cultura. Ha partecipato alla realizzazione di mostre sul rapporto tra passato e mondo contemporaneo e ha preso parte a numerosi scavi archeologici in Italia e in Grecia; esperto di archeologia greca e romana, di iconografia, di policromia, di fortuna dell’antico e di museografia, su questi temi ha pubblicato vari contributi in riviste nazionali ed internazionali. 

Contesti territoriali e produzioni ceramiche

Martedì 28 maggio 2024 ore 15.40 – Aula dei Consigli DISPAC (I piano, edificio B)

 

Ne discutono Maria Luisa Tardugno – Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per l’Area Metropolitana di Napoli) 

Francesca Cuomo e Chiara D’Amico (dottorande del XXXVIII ciclo)

Coordinano Antonia Serritella e Carmine Pellegrino

1 CFU

L’intervento nella prima parte sarà incentrato sull’importanza della realizzazione di una carta archeologica, implementabile e open access, quale mezzo di primaria importanza per la conoscenza del potenziale archeologico un sito antico e del suo territorio, anche al fine progetti di valorizzazione e fruizione. Al tempo stesso sarà discusso il contesto territoriale di Padula e del Vallo di Diano.

Successivamente, l’intervento si concentrerà sugli approcci metodologici legati allo studio di una classe ceramica, con particolare riferimento a quella di impasto, attraverso una analisi morfo-tipologica e tecnologica.

 

Maria Luisa Tardugno ha studiato presso l’Università di Napoli Federico II, dove ha conseguito la laurea in Lettere Classiche, la Scuola di Specializzazione in Archeologia e il Dottorato di ricerca in Scienze Archeologiche e Storico-artistiche.

Presso la stessa università dal 2011 è Cultore della materia in Archeologia Classica/Archeologia della Produzione (L-ANT-07) e, dal 2012 al 2017 è stata Assegnista di ricerca, concentrando la sua attività in numerosi siti dell’Italia meridionale.

Dal 2017 è Funzionario Archeologo del Ministero della Cultura per il territorio di Pozzuoli, Quarto, Ischia e Procida e Responsabile del settore Educazione e Ricerca presso la Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per l’area metropolitana di Napoli.

Svolge le sue ricerche principalmente nell’ambito dell’archeologia funeraria, dell’archeologia classica e della metodologia della ricerca archeologica.

La sua attività si concentra soprattutto nell’area flegrea, dove coordina diversi progetti di ricerca con università italiane e straniere.  Dal 2018 è responsabile dei cantieri di scavo presso la rocca del Rione Terra di Pozzuoli e di numerosi progetti legati all’archeologia preventiva relativi a grandi lavori pubblici. Si occupa, inoltre, dello studio di contesti funerari indigeni di età arcaica in Basilicata e Campania. Dal 2023 è docente a contratto di Metodologia della ricerca archeologica presso la Scuola di Specializzazione in Archeologia dell’Università Federico II. È autrice di libri e articoli su riviste scientifiche.

La ricerca d’archivio: una sfida di ermeneutica storiografica

Mercoledì 29 maggio 2024, ore 11:00 – Aula 13

 

Ne discutono con Antonino Tranchina (Università di Bologna)

Stefano Spinelli, Carolina Palumbo, Irene Panarese, Donato Cappetta, Sabrina Raphaela Buebl -dottorandi XXXVIII ciclo

Coordinano Adriano Amendola, Maria Passaro, Donato Salvatore, Antonella Trotta

1 CFU

Gli archivi fotografici delle fondazioni e istituti di ricerca storico-artistica sono spesso costituiti, in parte più o meno ampia, dal lascito di collezioni personali, appartenute a studiosi associati oppure confluite come eredità post mortem, secondo percorsi di varia natura. Il discrimine tra i singoli casi consiste, fra l’altro, nelle modalità di incameramento e classificazione di tali insiemi, cioè nell’attinenza o meno agli obiettivi delle ricerche promosse dall’ente di riferimento. 

Il lascito di taluni studiosi del Süditalienreferat della Bibliotheca Hertziana, in particolare il Nachlaß di Heinrich Mathias Schwarz (1911-1957) presso la Fototeca del medesimo istituto, rientra nella categoria dell’organicità alle linee di studio che fra gli anni ’30 e ’70 caratterizzarono gli istituti germanici con sede a Roma, pur rimanendo riconoscibile come entità a sé stante. Al contrario, le foto di Guglielmo Matthiae (1909-1977), acquisite da Federico Zeri (1921-1998) e confluite nella fototeca dell’omonima Fondazione, presso l’Università di Bologna, sono state redistribuite da quest’ultimo in accordo ai suoi interessi personali, per poi soffrire l’applicazione di principi archivisti estranei alla natura dei reperti. 

Il seminario proporrà il confronto tra questi due casi, con un focus sul progetto di ricerca che interessa il “fondo Matthiae”, dati i suoi originali risvolti nel campo della bizantinistica italiana del Novecento. La scarsa attenzione storiografica all’avventura storico-artistica di questo protagonista delle istituzioni di tutela nei decenni centrali del secolo scorso ha offerto, a partire una siffatta tabula rasa, l’opportunità di disegnare i percorsi interpretativi della sua eredità, incrociando la complessa cartografia della medievistica e degli studi bizantini in Italia, prima e dopo la Seconda Guerra mondiale.

Antonino Tranchina collabora con il Dipartimento delle Arti – Fondazione Federico Zeri dell’Alma Mater Studiorum – Università di Bologna, nell’ambito di un assegno di ricerca su “Il nucleo ‘Guglielmo Matthiae’ presso la Fototeca Zeri. Fonti iconografiche per lo studio della diffusione dell’arte bizantina in Occidente”. È stato ricercatore postdoc alla Bibliotheca Hertziana – Istituto Max Planck per la Storia dell’arte in Roma, dove ha lavorato in seguito come Assistente scientifico della Direzione. Di recente edizione è la sua monografia (Monaci sullo Stretto. Architettura e grecità medievale tra Calabria e Sicilia, Cinisello Balsamo 2023) sull’edilizia religiosa del monachesimo di tradizione bizantina nel Val Demone e la decorazione dei suoi spazi di culto. Ha pubblicato articoli sul monachesimo altomedievale e particolarmente sulle arti nel Sud Italia grecofono, sulla decorazione libraria e sulle sorti storiche e storiografiche dell’eredità bizantina nell’Occidente di età moderna e contemporanea.

Emilio Vavarella, Amazon’s Cabinet of Curiosities, 2019-ongoing. Installation with Amazon Alexa and various commercial products, environmental dimensions and sound. Courtesy: the artist.

Transiti. Spazi di confronto tra teorie critiche, new media e pratiche espositive

Mercoledì 29 maggio 2024, ore 14:00 – Aula 13

 

Ne discutono con Elisabetta Modena (Università di Pavia)

Annalaura Ferrara, Chen Shaoyixuan,Nanhao Wang , Hui Wang dottorandi XXXVIII ciclo

Coordinano Francesco Vitale, Stefania Zuliani

1 CFU

Incroci, confini e luoghi di transito sono spazi fertili sia per la pratica artistica, sia per la ricerca scientifica. In quelle condizioni di passaggio e attraversamento possono maturare nuovi approcci che mettono in discussione traiettorie consolidate o che, al contrario, si rivelano utili per cucire insieme ambiti apparentemente lontani uno dall’altro. Partendo da un percorso di ricerca personale che si è confrontato con discipline e temi di studio diversi, il seminario propone l’approfondimento di un contesto emblematico in questo senso come quello della mostra (e della messa in mostra), soffermandosi in particolare sulle più recenti teorie del display.

Elisabetta Modena è ricercatrice in Storia dell’arte contemporanea all’Università di Pavia e membro associato del progetto ERC “AN-ICON” dell’Università Statale di Milano. I suoi interessi si collocano ai confini tra arti visive, storia e teoria del display, cultura digitale e videoludica. È stata assegnista post-doc presso il Dipartimento di Filosofia “Piero Martinetti” dell’Università degli Studi di Milano, borsista presso CSAC (Centro Studi e Archivio della Comunicazione) dell’Università di Parma e docente a contratto presso l’Accademia di Belle Arti di Brescia SantaGiulia, l’Università di Milano e l’Università di Bologna. Ha curato mostre in Italia e all’estero, residenze artistiche e workshop, come il recente progetto Esperienza e display (2023-in corso), organizzato con Giovanna Amadasi e Andrea Pinotti presso Pirelli HangarBicocca. Insieme a Marco Scotti, è fondatrice di MoRE. Museum of refused and unrealised art projects (www.moremuseum.org), un museo e archivio digitale dedicato a progetti di arte contemporanea non realizzati. È autrice dei volumi: La Triennale in mostra. Allestire ed esporre tra studio e spettacolo (1947-1954) (Scripta Edizioni, Verona, 2015), Nelle storie. Arte, cinema e media immersivi (Carocci, Roma 2022), Immersioni. La realtà virtuale nelle mani degli artisti (Johan & Levi, Milano 2023).

Seminario inter-dottorale

Michel Faucault e il discorso del filosofo

Mercoledì 17 aprile 2024, ore 12,30/14,30 – Aula Imbucci

 

Stefano Catucci – Università La Sapienza

Introduce Massimo de Carolis

1 CFU

Stabiae. Nuovi scavi a Villa San Marco

Lunedì 22 aprile – ore 10.00 – Sala Conferenze DISPAC / piattaforma Teams

 

Carlo Rescigno – Università della Campania “Luigi Vanvitelli, Scuola Superiore Meridionale

Discussant Antonia Serritella

1 CFU

Il grande complesso architettonico della villa San Marco, sul pianoro di Varano, insiste nel cuore della antica Stabiae. Scavata in epoca borbonica, interrata, fu nuovamente portata in luce da Libero D’Orsi per essere poi danneggiata dal terremoto degli anni Ottanta del secolo scorso. Dal 2020, con un accordo tra Università e Parco Archeologico di Pompei, sono ripresi gli scavi su settori ancora non indagati del complesso, articolazioni che completano la forma della villa e la inseriscono nello spazio che già fu del vecchio insediamento urbano. Lo scavo, che si è accompagnato al riesame della documentazione pittorica e monumentale già nota, si è soffermato sul grande portico superiore, portandone in luce l’angolo SO che ha restituito una parte significativa della ricca decorazione pittorica e del suo repertorio di immagini.

 

Carlo Rescigno è professore ordinario di Archeologia Classica presso l’Università della Campania “Luigi Vanvitelli”; è coordinatore del dottorato di Archeologia e Culture del Mediterraneo Antico della Scuola Superiore Meridionale; è membro del Dottorato di Storia e trasmissione del patrimonio culturale ed è docente della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici.

È stato Fellow presso il Netherlands Institute for Advanced Studies in Humanities and Social Science (NIAS-Olanda); ha tenuto lezioni di archeologia presso l’Università degli Studi di Amsterdam e la Scuola Archeologica Italiana di Atene, e numerosi cicli di seminari e lezioni presso istituti scientifici. È membro del comitato scientifico di diverse riviste.

Nel 2017 gli è stato conferito il premio Satyrion per la Magna Grecia. È Socio Corrispondente dell’Istituto Archeologico Germanico; è Accademico dei Lincei (socio corrispondente); socio ordinario dell’Istituto Nazionale di Archeologia e Storia dell’Arte; dell’Istituto per la Storia e l’Archeologia della Magna Grecia (Taranto).

Dal 2022 è membro del Comitato Tecnico Scientifico per l’Archeologia su nomina del Ministro della Cultura; della fondazione CIVES-Museo Archeologico Virtuale (MAV, Ercolano).

Ha preso parte e diretto numerosi progetti di ricerche (Cuma, Crotone, Conza della Campania, Benevento, Valle del Sinni; Metaponto; Sibari; Taranto; Stabiae) ed edizioni di materiali archeologici. È autore di numerose monografie e articoli, ed è stato curatore di atti di convegni.

2024 -1924 La rivoluzione surrealista, encore. Nuovi sguardi su un secolo di Surrealismo

“C’è qualcosa che non va”. Nadja icària

Venerdì 12 aprile 2024, ore 11,30 – Sala Conferenze DISPAC

 

Andrea Cortellessa – Università Roma Tre

Discussant Stefania Zuliani

1 CFU

All’ultima pagina di *Nadja*, prima della celebre clausola programmatica «la bellezza sarà convulsa o non sarà», André Breton si rivolge alla donna che intitola il suo libro, il «principio di sovversione» che lo ha stregato, con queste parole: «Un giornale del mattino basterà sempre a darmi notizie di te». Alludendo a un incidente aereo da lui, però, imprecisato. Riportata è invece l’ultima frase proveniente dall’apparecchio precipitato, «C’è qualcosa che non va». L’identificazione di questo *fait divers*, dalla cronaca del 1927, getta una luce diversa sul significato del combattimento amoroso messo in scena da questo testo, in tutti i sensi, inaugurale.

 

Andrea Cortellessa è critico e saggista. Insegna Letteratura italiana contemporanea all’Università di Roma Tre; nel 2018 ha tenuto la «cattedra De Sanctis» al Politecnico di Zurigo. Ha pubblicato saggi, curato testi  e mostre, realizzato trasmissioni radiofoniche e televisive, spettacoli teatrali e musicali. Collabora ad «Alias», «Il Sole 24 ore», «Tuttolibri», «doppiozero», «Le parole e le cose2». Ha fondato con Federico Ferrari e Riccardo Venturi il blog collettivo Antinomie. Di recente ha curato gli scritti sull’arte di Giorgio Manganelli (Emigrazioni oniriche. Scritti sulle arti  Adelphi 2023) e il volume Arbasino A-Z (2023).

Convegno

Oltre la Reggia. Luigi Vanvitelli e le arti tra Sette e Ottocento

a cura di Giuseppina Merola, Stefano Spinelli

Venerdì 5 aprile 2024 h 09.30, Sala Conferenze DISPAC

 

Introducono Luca Cerchiai, Direttore del Dipartimento DISPAC, Tiziana Maffei, Direttore della Reggia di Caserta e Stefania Zuliani, Coordinatrice del Dottorato MeM

Le sessioni saranno moderate da Adriano Amendola, Donato Salvatore e Loredana Lorizzo

1 CFU

In occasione del compleanno di re Carlo di Borbone, il 20 gennaio 1752, iniziarono i lavori di costruzione della Reggia di Caserta. La cerimoniale posa della prima pietra rappresentò l’esordio di Luigi Vanvitelli nel Regno di Napoli, artista capace di interpretare con i suoi disegni il sogno del re di voler ostentare in Europa il prestigio di una grande monarchia. Il convegno presenterà la poliedrica figura di Vanvitelli quale attore e regista delle arti. Dal disegno, da lui inteso come primario mezzo espressivo, all’architettura, alla pittura o, ancora, al moderno gusto decorativo. A distanza di 250 anni dalla morte del regio architetto è importante tornare a riflettere sul portato di uno degli artisti più iconici del Settecento, considerando la fitta rete di relazioni che stabilì con i suoi contemporanei.

2024 -1924 La rivoluzione surrealista, encore. Nuovi sguardi su un secolo di Surrealismo

“Echi del Surrealismo” nell’arte del dopoguerra a Napoli.

Lunedì 25 marzo 2024 – Sala Conferenze DISPAC ore 15

 

Maria De Vivo (Università Orientale, Napoli)

Discussant Stefania Zuliani

1 CFU

L’onda lunga del surrealismo, in verità tracce della sua eredità e del suo superamento, tocca negli anni Cinquanta anche la città di Napoli, una cornice semantica ritenuta incline, di per sé, agli scambi magnetici tra alto e basso, primitivo e colto.

Tenendo conto di un impianto storiografico consolidato ma attingendo, al contempo, a fonti più larghe nella lettura dei fenomeni (Villa e De Martino, ad esempio), il seminario si interroga sulla natura di alcune esperienze – dentro e fuori il Gruppo 58, dentro e fuori il gruppo di Continuum – per le quali il rifiuto dell’arte come purezza incontaminata e assoluta è diventato linguaggio e azione e lo sprofondamento negli umori della città è stato strumento di rivolta ironico e grottesco. 

Si vuole sostenere che esiste una connivenza tra l’universo surrealista e le esperienze di artisti erranti nel rimosso della vita quotidiana e nella «memoria antropologica di una Napoli popolare e plebea» pur in assenza di una diretta discendenza da esso.

 

Maria De Vivo insegna Storia dell’arte contemporanea presso l’Università degli studi di Napoli “L’Orientale”. 

I suoi interessi di ricerca vertono principalmente sullo studio dell’arte a partire dal secondo Novecento e sulle relazioni tra arte e critica. Uno specifico campo d’indagine è dedicato al sistema e agli artisti operanti a Napoli. In tal senso si ricordano la monografia sull’attività espositiva della Libreria-Galleria Guida di Napoli (Guida 2008), i saggi dedicati a Carlo Alfano (2014, 2017), Giuseppe Desiato (2019, 2021), Gian Maria Tosatti (2015). Tra le pubblicazioni più recenti si segnala il saggio Azioni e performance nella “città-teatro”. Napoli 1965-1980 in L. Conte, F. Gallo, Costellazioni della performance in Italia 1965-1982, Silvana Editoriale, Milano 2024

2024 -1924 La rivoluzione surrealista, encore. Nuovi sguardi su un secolo di Surrealismo

Il desiderio preso per la coda: dal testo di Picasso ai linguaggi visivi di Falso Movimento.

Martedì 26  marzo 2024Sala Conferenze DISPAC ore 10

 

Annamaria Sapienza ( Università di Salerno)

Intervengono Angelo Curti e Lino Fiorito

1 CFU

Il desiderio preso per la coda è un testo teatrale scritto da Pablo Picasso nel 1941 che costituisce un particolare momento della vita dell’artista catalano, ovvero, un esempio che si presenta al contempo come opera prima e come testamento poetico. Nel 1985 Falso Movimento, formazione napoletana di teatro sperimentale diretta da Mario Martone, ne realizza una singolare versione che umanizza il testo picassiano in un autentico “personaggio” da inserire in un dramma originale e del tutto indipendente dalla fonte. La tensione continua alla ricerca spinge Falso Movimento verso una traiettoria scenica dai confini indefiniti che accoglie la tensione surrealista declinandola nel lavoro di scrittura scenica condotto sul paesaggio metropolitano e il mediateatro in un particolare momento del teatro italiano. L’elemento del racconto si spinge oltre le possibilità concesse dalla parola e si proietta nella sfera del visivo, confermando il Surrealismo come eredità artistica al di là del momento storico. 

 

Immagine: particolare di un disegno di Lino Fiorito

Temporalità delle immagini: rileggere Warburg a Firenze. Note su una mostra agli Uffizi, 19 settembre-10 dicembre 2023″

Martedì 26  marzo 2024Piattaforma Teams, ore 15

Giovanna Targia – Università di Zurigo

Discussant Francesca Dell’Acqua

1 CFU

Nell’autunno 2023 le Gallerie degli Uffizi hanno ospitato una mostra per molti aspetti inconsueta dal titolo Camere con vista. Aby Warburg, Firenze e il laboratorio delle immagini, che invitava a ripensare criticamente l’opera di Warburg accostando opere delle collezioni fiorentine, materiali provenienti dall’Archivio dell’Istituto Warburg e lavori di artisti contemporanei. Perno degli accostamenti erano le ricostruzioni di quattordici tavole dell’Atlante delle immagini Mnemosyne, l’opera più iconica e singolare (ma anche la più sfuggente) di Warburg. Costruito come una cartografia della memoria culturale nelle regioni del Mediterraneo (con un’ampia sezione dedicata al Quattrocento fiorentino), l’incompiuto Atlante Mnemosyne non cessa di dividere le opinioni degli studiosi, ma continua a stimolare riflessioni profondamente attuali sul carattere mediale e sulla temporalità delle immagini, sedimentate nella memoria, censurate o riusate anche a distanza di secoli.

 

Nel seminario si illustrerà il percorso della mostra evidenziando i nessi tra ricostruzioni d’archivio e pratiche artistiche contemporanee sullo sfondo della storia della ricezione di Warburg, emblematica delle alterne fasi del dibattito sui metodi per lo studio critico delle immagini.

 

 

Giovanna Targia è ricercatrice presso l’Università di Zurigo e postdoctoral fellow del Kunsthistorisches Institut in Florenz – Max-Planck-Institut. Ha studiato Filosofia all’Università di Pisa e alla Scuola Normale Superiore, dove ha conseguito il dottorato di ricerca in Discipline storico-artistiche nel 2009. Ha ottenuto borse di studio dalla Bibliotheca Hertziana – Max-Planck-Institut für Kunstgeschichte, dal DAAD (Ladislao Mittner Preis für Kunstgeschichte) e dalla Alexander von Humboldt Foundation. Le sue ricerche riguardano l’estetica e la storiografia artistica tra Otto e Novecento, con particolare attenzione per la dimensione linguistico-letteraria della scrittura storico-artistica, per la teoria e la pratica della traduzione. Nel 2021 ha curato per Schwabe l’edizione critica commentata dello scritto di Heinrich Wölfflin Prolegomena zu einer Psychologie der Architektur. Nel 2023 ha fatto parte del team curatoriale della mostra Camere con vista. Aby Warburg, Firenze e il laboratorio delle immagini allestita presso le Gallerie degli Uffizi.

Suoni ambienti linguaggi

Mercoledì 27 marzo 2024 – Aula 13 DISPAC, ore 10

 

Sergio Bonanzinga (Università di Palermo)

1 CFU

I tre termini che compongono il titolo di questo seminario rinviano a una stratificazione di questioni reciprocamente implicate. Attraverso il linguaggio si costruisce la conoscenza del Mondo e delle sue forme. Ma il linguaggio è già suono formalizzato destinato a esprimere il pensiero creando legami: fra individui, certo, ma anche fra una comunità e l’ambiente che la circonda. Le indagini antropologiche ed etnomusicologiche hanno dimostrato che diverse “fonosfere” influiscono in termini decisivi sul modo in cui i gruppi umani selezionano le proprie modalità di espressione acustica, piegando il continuum sonoro a esigenze funzionali molto diversificate: dal rito al lavoro, dalla gestione della quotidianità all’intrattenimento. Cercherò di porre in evidenza questi aspetti ricorrendo ad alcuni esempi riferiti a società di interesse etnologico osservate in diverse aree del Pianeta, nel tentativo di delineare un quadro di significative corrispondenze strutturali.

 

Sergio Bonanzinga (Messina 1958), Phd, è professore ordinario nell’Università di Palermo, dove insegna Etnomusicologia e Antropologia della musica. Si è occupato dei valori funzionali e simbolici che caratterizzano le pratiche espressive di tradizione orale (musica, danza, narrazione, teatro) in contesti sia di interesse storico (Inghilterra, Sicilia) sia contemporanei (Sicilia, Tunisia, Grecia). Ha scritto libri e saggi su questi e altri temi, curando svariate antologie discografiche e filmati. Ha fondato e dirige la collana “Suoni&Culture” (Edizioni Museo Pasqualino, Palermo). Ha fondato e dirige, insieme ai colleghi Giorgio Adamo (Università di Roma Tor Vergata) e Nico Staiti (Università di Bologna), il periodico annuale Etnografie Sonore / Sound Ethnographies (Anvur classe A). È socio fondatore e segretario del Centro Studi Alan Lomax (Palermo).

Metafore e riferimenti “acquatici” nella lingua musicale: teoria, prassi, estetica

Mercoledì 27 marzo 2024 – Aula 13 DISPAC, ore 15

 

Luca Aversano

1 CFU

L’intervento si concentra sull’utilizzo, negli scritti musicali dal Cinquecento alla prima metà del Novecento, di riferimenti all’acqua in tutte le sue forme, statiche e in movimento. Il tema sarà affrontato secondo tre ambiti tematici diversi, ma accomunati dalla presenza di una variopinta fenomenologia delle metafore e degli usi linguistici. In particolare, si analizzeranno i contesti di ambito teorico, la terminologia tecnica, gli immaginari estetici. Dal punto di vista metodologico, la ricerca è stata realizzata attraverso la banca dati “Lesmu – Lessico della letteratura musicale italiana 1490-1950”.

 

Luca Aversano ha conseguito il dottorato di ricerca all’Università di Colonia ed è professore ordinario di Musicologia e Storia della musica nel Dipartimento di Filosofia, Comunicazione e Spettacolo dell’Università Roma Tre, dove è anche presidente della Fondazione Roma Tre Teatro Palladium. Si è occupato dei rapporti tra Italia e Germania, di lessicografia musicale, di musica strumentale italiana tra Sette e Ottocento, di storia della didattica e dell’interpretazione musicale. Nel 2018 è stato insignito del premio Franco Abbiati della critica musicale italiana, sezione Massimo Mila, per il volume “Mille e una Callas”, curato insieme con Jacopo Pellegrini. Dal gennaio 2024 è presidente dell’ADUIM – Associazione fra Docenti Universitari Italiani di Musica.

Presentazione del volume

Arte che trema. Riscoperta e valorizzazione del patrimonio culturale dopo il terremoto in Irpinia del 1980

a cura di Antonello Ricco, Roma, De Luca Edizioni d’Arte, 2023.

 

Martedì 23 gennaio 2023 h 10.30, Sala Conferenze DISPAC

 

Introducono Luca Cerchiai, Direttore del Dipartimento DISPAC, e Stefania Zuliani, Coordinatrice del Dottorato MeM

Ne discutono con il curatore e con Adriano Amendola, responsabile del progetto Arte che trema, Anita Florio – Regione Campania, Cristiano Giometti – Università di Firenze, Antonella Trotta – Università di Salerno

1 CFU

Riflettere sugli esiti dei terremoti sul patrimonio culturale italiano è lo scopo del volume che, prendendo spunto dall’evento sismico in Irpinia del 1980, sviluppa con ampio raggio tematico e cronologico il tema della ricostruzione, del recupero e delle scoperte che seguono alla primaria operazione di messa in tutela del territorio e di salvaguardia delle persone coinvolte. Il bene culturale diventa così luogo della memoria, diversamente esperito da chi lo vive e da chi lo scopre in seguito a un evento traumatico. Ritesserne la storia significa recuperare la forza emotiva che ci lega ai nostri territori, attribuendo loro un significato profondo che consente alle opere d’arte di riconnettersi ai contesti come elementi significanti dell’esperienza individuale e collettiva dell’uomo.

2024 – 1924 La rivoluzione surrealista, encore. Nuovi sguardi su un secolo di Surrealismo.

“Minotaure” e la Grecia del Surrealismo

Martedì 23 gennaio 2024 ore 15.00, Sala Conferenze DISPAC

Mauro Menichetti, Università di Salerno

Introduce Stefania Zuliani

1 CFU

Il mito del Minotauro ha goduto di un particolare successo nel mondo antico già a partire dall’età arcaica per poi approdare nel mondo romano anche come rappresentazione nei mosaici delle case  e delle ville romane. Il mito ha avuto notevole diffusione anche perché si può espandere e rielaborare in più direzioni: il coinvolgimento di Atene nell’impresa di Teseo, l’aspetto iniziatico di giovani che devono superare una prova simile alla morte, l’intervento di un artigiano quale Dedalo, il significato ampiamente dibattuto di una particolare architettura – il Labirinto – che ospita una originale creatura mostruosa quale il Minotauro. Le sorprese del mito continuano con l’abbandono di Arianna da parte di Teseo durante il viaggio di ritorno da Creta. 

Il Minotauro che approda nel variegato mondo delle avanguardie artistiche contemporanee rientra in quella ricerca di modelli alternativi a ciò che è ritenuto “classico” e che coinvolge, ad esempio, l’interesse per le arti primitive, l’arte etrusca, l’arte preclassica e orizzonti alternativi come nel caso di Gauguin. Il Minotauro, pur facendo parte del mondo classico, diviene il simbolo di quella parte del mondo classico che una certa filologia e una certa ricerca filosofica stavano mettendo in luce, vale a dire l’aspetto irrazionale, dionisiaco, impuro e ibrido come la forma del Minotauro.

“Minotaure” è una testimonianza particolarmente chiara e incisiva di questa tendenza per cui il Minotauro – presente iconograficamente in gran parte delle copertine della Rivista pubblicata fra il 1933 e il 1939 – accompagna l’idea di un’arte che deve liberare e portare alla ribalta forze e energie finora represse o ritenute non opportune nel campo della rappresentazione artistica.

“Minotaure” è la “revue à tête de bête”.

In occasione della pubblicazione del volume Storia della recitazione teatrale (Marsilio, 2023)

La recitazione teatrale.

Mercoledì 24 gennaio 2024, ore 15,00, Sala Conferenze Dispac

Claudio Vicentini (Università degli studi di Napoli “L’Orientale”)

Ne discutono con l’autore Aurora Egidio, Isabella Innamorati, Annamaria Sapienza.

1 CFU

A partire dalla recente pubblicazione sulla Storia della recitazione teatrale (Marsilio, 2023), Claudio Vicentini, professore emerito di Storia del Teatro e dello Spettacolo dell’Università di Napoli “L’Orientale”, offre una prospettiva aperta sulla straordinaria civiltà della recitazione sviluppata nei paesi d’Oriente e d’Occidente dall’antichità alla scena digitale. In forma di tavola rotonda, l’autore discute sulle grandi figure della recitazione drammatica, i leggendari attori del teatro greco e romano, dell’età di Shakespeare e di Molière, del teatro romantico e del teatro contemporaneo, fino alle singolari forme di recitazione che vedono oggi l’attore impegnato a confrontarsi davanti al pubblico con le risorse del mondo digitale, gli effetti della motion capture, la presenza del cyborg sulla scena teatrale. La riflessione si inserisce, altresì, in un contesto più ampio dove emerge l’importanza delle forme di recitazione a torto considerate minori.

I Bronzi di Riace alla prova della storia dell’arte antica

Giovedì 25 gennaio 2024, ore 15, Sala Conferenze DISPAC

Riccardo Di Cesare – Università degli Studi di Foggia

Discussant Mauro Menichetti

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Il cinquantesimo anniversario della scoperta dei Bronzi di Riace, celebrato nel 2022, ha offerto l’occasione per ripensare e rileggere questi capolavori originali della Grecia classica e per ripercorrere i diversi approcci che sono stati e sono adottati per comprenderli: iconografico, storico-stilistico, filologico, attribuzionistico, tecnologico-produttivo, archeometrico, sperimentale. Al di là dei problemi ancora aperti, i Bronzi di Riace sono indissolubilmente legati al complesso itinerario di ricerca che li accompagna, formando un capitolo ancora aperto di storia dell’archeologia classica e delle metodologie di indagine della disciplina. Contestualizzati nell’arte del loro tempo, interpretati nel funzionamento dei codici visivi della Grecia del V secolo a.C., essi hanno molto da insegnare al nostro modo di vedere e comprendere l’arte antica e renderla attuale agli occhi della modernità.